Presentazione e/o rappresentazione

L’arte come differenza

Roma 2007

 

Credo che il titolo stesso sia un po’ drastico perché ti obbliga a scegliere di stare in una delle due categorie. Mentre penso che debba esistere un chiasmo, un confronto, un colloquio perché rappresentazione e presentazione non sono antagoniste. Infatti il mio titolo “L’arte come differenza-rappresentazione e/o presentazione”.

 

Certo che dal mito delle avanguardie (dal collages al ready made) e delle neo-avanguardie (dal minimalismo all’installazione) abbiamo ricevuto più presentazioni che rappresentazioni. Oggi l’attualità globalizzata, che non vuol dire la contemporaneità, è tutta impegnata nel consumo, nel consenso del qui subito ora e quindi più vicina alla presentazione che alla rappresentazione.

 

Se rappresentare è ancora “raffigurare”, se non “narrare”, la presentazione sarebbe invece l’esibizione, il porgere, l’offerto.

 

In tutta l’arte del secolo passato esiste la dialettica tra rappresentazione e presentazione come da sempre esiste la scelta, l’incrocio, la divisione tra originarietà e originalità.

 

Originarietà, andare alle fonti, alla storia, alla memoria, ristabilire i valori; originalità, sperimentazione e neo-avanguardie come tradizione del nuovo.

 

Noi siamo per il nuovo nella tradizione, in cui originale e originario si chiasmano e si intrecciano.

 

Non è il desiderio dell’arte che richiede presentazione e/o rappresentazione è la presentazione e/o rappresentazione che deve farsi arte.

 

Questi due termini a volte s’intrecciano, non è certo il caso di Bacon o Giacometti che sono pura rappresentazione, ma se penso Ceci nes pas en pipe di Magritte, per l’autore è una “assurda” presentazione, per Faucolt è invece rappresentazione addirittura nominale.

 

Il quadro mensola di J. Dine, oppure le narrazioni di Boltansky(?), i magnifici video di Bill Viola, sono rappresentazioni. Kieefer è presentazione negli aerei e nei piombi ma e rappresentazione nei paesaggi e nei girasoli della Provenza.

 

L’amico Fabio Mauri quando rappresentava un film di Pasolini proiettandolo sul corpo-presenza di Pasolini è una presentazione che accetta la propria rappresentazione.

 

Il mio dubbio tra presentazione e/o rappresentazione rimane ed è indicibile, perché l’arte è sempre interrogazione ed è sempre indicibile.

 

Il frigorifero è dicibile, le auto, le motociclette e i vestiti, pur esposti nei musei, restano solo dicibili, in quanto solo oggetti estetici che vedono e texturizzano il mondo ma non vanno oltre la crosta del mondo.

 

Gli stilisti vestono, gli artisti svestono e svelano.

 

L’importante è essere fuori dal conformismo sia della rappresentazione che della presentazione perché l’arte è creazione di differenza.

 

La mia generazione ha vissuto una stagione densa e corposa. Dove sta oggi la densità? Cos’è lo spessore?

 

Non ci sono limiti; ma qual è il limite, il con-fine tra rappresentazione e/o presentazione?

 

L’arte è spesso detta, pellicola dell’esistente indifferenziato. E il non detto? Il nascosto? Il rossore? L’esperienza?

 

L’arte non è né lieve, né ottimista, né pacifista e nemmeno un iceberg di seduzione o una semplice variante sempre prestabilita.

 

Sono contro l’indifferenziato, sono contro la globalizzazione; sono per la tribalizzazione anche se capisco il flusso ondulatorio e il desiderio di velocità impostaci dall’esterno sono ancora per la lentezza.

 

La differenza, anche tra rappresentazione e/o presentazione, sarà il turbamento, il “rossore” se non lo scarto rispetto all’omologazione.

 

Basta con l’omologare subito e catalogare. Credo ci si debba schierare contro il linguaggio dominante che annichilisce ogni spazio di ricerca e di critica per difendere il facile consenso del qui-subito-ora. Sottrarsi quindi alla velocità, all’informazione apparente, all’indifferenziato. Credo ci si debba interrogare perché l’arte è sempre interrogazione, è turbamento che deve turbare. La cultura è disturbo e non consenso generalizzato anche perché l’arte non va mai a dormire, o morire, nel letto che le hanno preparato poiché il nuovo non è una categoria.

 

L’arte non è cibo da mansire. L’arte non è un elettrodomestico. L’arte apre un pensiero, non condiziona un pensiero.

 

L’arte ha il senso del passato e del suo impossibile. Ma il passato fa parte del nostro presente se si modifica di volta in volta la lettura?

 

L’arte è menzogna, è falsificare le affermazioni, è organico all’arte che preferisce l’inganno alla sterile lealtà.

 

Non esiste, ovviamente, una sola verità: presentazione oppure rappresentazione, in quanto l’arte è sempre, è ancora produzione di differenza contro questa indifferenziata, quindi equivalente,  nostalgia del nulla, del tutto uguale. René Girard ci dice: laddove manca la differenza, c’è la minaccia della violenza. Noi desideriamo essere ancora spettatori di ciò che sta tra una singolarità ed un’altra singolarità, convinti che l’arte non sia solo ginnastica linguistica, ma un’esperienza (una riflessione) del mondo per il mondo, ritornando ad essere un processo di interrogazione.

 

Assoluta libertà espressiva di ogni artista, che hanno il diritto di utilizzare qualsiasi procedimento.

 

Non demonizziamo le tecniche più disparate e non posso certo ora, nell’epoca del computer e della comunicazione tutta equivalente, se non della globalizzazione (che ritengo un annientamento della produzione di differenza  dell’arte) non considerare le nuove tecniche solo se finalizzate, scelte e irrinunciabili.

Però posso ugualmente vivere l’età della tecnica rifiutando la mimesi tecnologica, la smaterializzazione, la virtualità, pur facendone i conti.

 

La tecnica è la sostituzione del mondo e si produce per riprodursi anche se si sostituisce il mondo con una sua immagine. Ma l’arte tutta, mette spesso il dito nelle piaghe del mondo, indicando le ferite e vuole essere “autre”, oltre, altro, indicibile.

 

C’è bisogno di un’illusione in più che non sia solo rivestimento del mondo ma che sia INUSUALE, non EDITO. De Chirico diceva: “Andare oltre la crosta del mondo”.

 

L’arte è spesso dissenso e usa la tecnica per contestare e superare la tecnica. L’arte è sempre interrogazione e non solo esclamazione pur suadente dove il processo creativo e magico è al di là della tecnica.

 

Galimberti si chiede e ci chiede: Cosa facciamo noi della tecnica o cosa la tecnica fa di noi?

 

L’interrogativo deve sempre essere presente.

 

La tecnica non svela lo splendore della verità.

 

Il rischio è che l’arte sia solo flusso informativo o cosmesi estetica del mondo, lo stesso rischio della sola “presentazione”: cioè la sospensione di giudizio.

 

L’arte è in costante fuga, tocca spesso il naufragio e cammina sul rasoio tagliente.

 

L’arte è il non detto, è evento, è il nascosto e il nascosto non lo collochi dove vuoi, si trincera, non si concede, si nasconde; a meno che non si creda che il sistema dell’arte sia più duraturo dell’arte, cioè velocità, virtualità, smaterialità.

 

Esiste una voluta e ricercata banalità della cultura, una ricerca dell’ordinario forse dovuto all’indifferenza civile di una società falsamente opulenta e arrogante.

L’elemento di straordinarietà è scomparso dovuto al magma dell’indifferenziato e dell’opaco.

 

Mentre noi crediamo ancora alla straordinarietà, alla differenza.

Esiste un bombardamento della comunicazione, una finta eccitazione che annulla il turbamento.

 

È vero che esiste uno sfondamento dell’arte che va oltre la rappresentazione e/o presentazione e la comunicazione tenta di riunire l’allontanamento in una non veritiera socializzazione.

 

La comunicazione, anche se è uno strumento da utilizzare, vuole l’unificazione e non più lo scambio di significati.

Insomma il fare è sempre interrogante in quanto l’arte, come ho detto, non è cibo da mansire; l’arte non è un azienda; l’arte è esperienza per il mondo che si emoziona sul mondo; l’arte non richiede facilità del guardare; deve essere sempre un atto civile che inizia perché fare arte è giocare con la gioventù.

 

L’arte richiede all’artista di deporre la maschera, tutte le maschere e di imparare a disimparare, per creare un fare sempre più interrogante da rappresentare e/o presentare.

 

 

Concetto Pozzati